Si può rinunciare a tutto, diciamolo. Nessuno pretende in questo periodo di considerare una cena al ristorante come la priorità assoluta nella vita di ogni essere umano.
D’altronde nei prossimi anni le nostre dispense saranno probabilmente popolate da superfood sintetici e gustosi e iperproteici insetti (fonte: lacucinaitaliana.it) quindi anche se la cosa mi fa un certo orrore, ho imparato che alla fine il futuro è qualcosa di inevitabile, e non sempre possiamo controllarne i flussi (e forse è un bene).
Il presente ancora ci permette di appassionarci alle cose buone, anzi a quelle buonissime, perchè il gusto è fonte di vita, e il nutrimento del corpo perde significato quando non è accompagnato dal nutrimento dell’anima, e dei nostri piaceri.
Abbiamo la fortuna di essere italiani (questa è grossa, ma io lo penso davvero), viviamo in un paese che è diverso da tutti gli altri, anzi sopratutto direi che è un paese bio-diverso. Infinite varietà di ortaggi, frutte e paesaggi danno vita a una miriade di sapori e prodotti di qualità finissima.
Su tutti il vino, da nord a sud. Ma non quelle bottiglie che trovi al supermercato senza arte nè parte. Parlo dei vini veri, vini artigianali che nascono da piccole aziende agricole, vini fatti ancora “a mano”, qualche migliaio di preziose bottiglie per ogni cantina, bottiglie che trovi solo quando le conosci, o che scopri quando le vuoi trovare.
Un settore che parla di biologico, ma soprattutto di biodinamico, produzioni basate sul rispetto totale dei tempi della natura, niente chimica, solfiti zero o quasi, vini col fondo, vini di vigna.
La distribuzione di questa tipologia di prodotto è basata su piccole enoteche e wine shop specializzati, spesso una vasta rete di microimprese che lavora grazie al passaparola, piccoli posti che fanno cultura del bere, dove vai per “sapere” prima di portare alla bocca il calice, oppure dove c’è l’appassionato che ti spiega la storia dietro la bottiglia che ti porterai a casa. Una microeconomia sana e sostenibile.
Ma torniamo all’inizio di questo post. Si può rinunciare sicuramente a tutto questo. Questi mesi di pandemia ci hanno insegnato purtroppo che tante sono le abitudini di ogni giorno delle quali possiamo fare a meno. Nelle ultime settimane il dito è puntato contro una “movida” , i mass media nazionali rappresentano un paese di giovani irresponsabili e “untori” che si assembrano nei centri storici in barba a qualsiasi decreto anti-covid. Fenomeni probabilmente eccezionali che diventano regola quando il giornalismo abdica al suo ruolo di osservatore della realtà, strizzando l’occhio alla pratica e meno alla grammatica.
La reazione si chiama Nuovo Dpcm in vigore dal 15 gennaio (potete trovare qui una sintesi) e tra le varie misure inasprisce le restrizioni al settore della ristorazione, già completamente allo sbando introducendo il divieto di asporto per gli alcolici dopo le ore 18,00.
Fin qui tutto sarebbe chiaro. La ratio sarebbe quella di evitare che orde di giovani in tutta Italia prendano d’assalto bar e ristoranti dal tardo pomeriggio per diffondere il virus a suon di Spritz take away. Personalmente non mi pare di aver visto queste giovani masse ansiose di assembrarsi davanti ai bar, e nonostante la norma non mi convinca, nella sua non utilità è possibile trovare un senso.
Il senso si perde completamente quando nel calderone ci finiscono i negozi di bevande alcoliche ovvero le enoteche, insomma il negozietto di vini sotto casa (quello di cui parlavamo prima). Attività che normalmente non possono fare mescita nè degustazione di vini per legge, ma che adesso invece devono allinearsi a regole che riguardano il consumo e l’asporto.
Quindi dopo le 18,00 se pensavate di andare a prendere quella bottiglia da portare a casa per godervi un pò di sano lockdown, non potete più farlo. E vagli a spiegare che il massimo della movida per voi è infilarvi un paio di pantofole e correre sul divano a vedere chi sarà il prossimo a lasciare per sempre la cucina di Masterchef.
In un colpo solo quel mondo di piccoli vignaioli, micronegozi e tutta quella cultura del bere che da secoli rende l’Italia un paese votato all’eccellenze al buon vivere, finisce nel tritacarne di una politica che non è più in grado di fare distinzioni, ignorante nel senso che ignora (cit.).
La ratio sta tutta in un codice ateco, che assimila i negozi ai luoghi in cui si consuma. La solita burosofia Italiana che non sopportiamo più perchè fa male dove si fa bene e fa malissimo dove si fa male.
La stessa ratio non estende il divieto di vendita per asporto ai supermercati e alla grande distribuzione. Quindi il vino in enoteca non lo puoi compare, ma al supermercato si, perchè li gli assembramenti non ci sono. Non ha alcun senso. I piccoli in queste situazioni sono i primi a pagare, ma in questo caso è quasi sadismo.
Una buona spiegazione del problema e una proposta interessante potete trovarla qui, a nome dell’Associazione delle Enoteche Italiane.
Bere una bottiglia di vino buona può essere un lusso, può essere superfluo, e non è mai morto nessuno senza andare in enoteca. Avete ragione. Ma non morire non equivale automaticamente a vivere.
Ps. Il gatto serviva solo a fare clickbait